(critico, storico dell’arte)
Novembre 1993
Nonostante abbia già esordito come scultrice, nelle vesti di aiuto del padre Glauco, nell’esecuzione di un grande fregio in terracotta per il paese trentino di Montagnaga di Pinè, Donatella Baruzzi si presenta oggi pubblicamente come “ceramista”.
Ceramista significa, nell’accezione corrente, un mestiere con una grande tradizione artistica alle spalle sostanzialmente artigianale. Che in realtà moltissimi artigiani meritino a pieno titolo lo statuto di artisti, è un altro discorso. Questo fatto è del resto, oggi, accettato comunemente.
La ceramica (in rapporto alla scultura) non è magistero minore ma, come l’incisione in rapporto alla pittura, rappresenta forse quel versante di ricerca più alchemico e raffinato che impone a chi la pratica non solo di conoscere un mestiere, ma di evolverlo e raffinarlo di continuo. E non solo nel senso ovvio di un uso sempre sapiente degli strumenti, ma proprio di invenzione continua di accorgimenti e di tecniche. Infatti il ceramista che crea, ha bisogno di ribilanciare continuamente le sue conoscenze non soltanto in rapporto alla sua esperienza passata, ma soprattutto in funzione di quanto sta per fare. Ogni oggetto è un’ipotesi di lavoro, un azzardo, un tentativo rischioso; non soltanto in senso formale, ma anche e soprattutto in senso tecnico. Tutto, lo spessore, il peso, la forma, le dimensioni, la superficie, il colore, assolutamente tutto ha un’incidenza rilevante e non casuale sul risultato.
Ogni oggetto è in questo senso non solo una creazione formale, ma una grande invenzione tecnica.
In questo senso il lavoro di Donatella Baruzzi, pur cimentandosi a volte con oggetti che hanno anche una loro funzionalità (contenitori, cornici, etc.) si muove con sicurezza sul piano della plastica, tanto da farci augurare che si muova sempre di più, in futuro, sul piano della scultura in ceramica più che su quello dell’invenzione di oggetti pur belli, curati oltretutto nei minimi dettagli, patinati e rifiniti come autentiche “invenzioni” artistiche.
Queste creazioni plastiche, comunque, esistono già: da citare ad esempio è il “quarto” di armatura, riprodotta fedelmente e proprio grazie al taglio inconsueto, reso surreale e destinato, per la sua stessa struttura, ad un esame formale e curioso, teso più che a riconoscerla nella sua natura di rappresentazione, ad esplorarla per I lati inattesi che ci rivela: oggetto infatti solo apparentemente noto, quando andiamo a scoprirne le sottosquadre, la complessione interna, così come capita per I gusci delle conchiglie o delle chiocciole.
Questa maniera labirintica di considerare l’oggetto non tanto per quello che appare all’esterno, ma proprio per gli anfratti insidiosi che può rivelare, è del resto congeniale a Donatella Baruzzi, non solo nelle sue cornici, ed oggetti ad anse che ricordano appunto I classici dedali, ma anche in quella poetica del “frammento” per cui alcuni suoi oggetti, spezzati, interrotti, tagliati, sezionati, in qualche modo rivelano, grazie alla modificazione della loro struttura, lati inattesi, tutti da scoprire.
Vi sono poi frammenti nel senso più classico del termine: oltre alla già citata armatura, delle robuste lire, dei reperti archeologici in cui riconosciamo resti di frontoni, di decorazioni classiche, restituiti al loro stato di dettagli avulsi da un contesto, e per questo ancora più misteriosi, ed aperti ad ogni interpretazione.
Queste opere, generalmente modellate, in una generosa terra refrattaria che consente effetti di volume e di ampia resa formale, hanno per il loro stesso aspetto arrotondato e piacevolmente plastico, un contatto franco e cordiale con lo spettatore.
Il loro colore rosa/bianco, a volte sapientemente patinato, aggiunge un’attrattiva in più a questi blocchi di materia antica che hanno tutta la capacità di sorridere del moderno.
(Critic, Art historian)
November 1993
Even if she already had her debut as a sculptor, helping her father Glauco in the execution of a large terracotta frieze, for the Mountain village Montagnaga di Pinè, Donatella Baruzzi comes up today publicly as a “ceramist”. Ceramist means, in the current meaning a “vocation” with a great artistic tradition behind and substantially crafted. That actually many craftsmen deserve the status of Artist, it is another matter. This fact is moreover commonly accepted today. Ceramic is not a minor mastery ( in relation to sculpture) but as per the engraving in relation to painting, it perhaps represents the most alchemical and refined side of the research which requires to those who practice not only to learn a profession, but to continually refine and evolve it. And not only in the obvious sense of an increasingly skillful use of instruments but capable of continuous invention of expedient and techniques. In fact the ceramist who creates, needs to continuously balance his knowledge in relation to his past experience but above all according on what is going to do. Every object is a working hypothesis, a hazard, a risky attempt; not just in a formal sense but especially in a technical sense. All, thickness, weight, shape, size, surface, color, absolutely everything has an important effect on the result and it’s not accidental. Each object in this sense is not only a formal creation, but a great technical invention. In this sense, Donatella Baruzzi’s work, while experimenting sometimes with objects that also have their own functionality (containers, frames, etc.) moves with enough confidence in the plastic dimension to make us wish she will move more and more, in the future, toward the word of ceramic sculpture rather than through the invention of objects although really beautiful, with a great attention to detail, coated and finished as authentic artistic “inventions”. Those plastic creations, however, already exist; to quote for example the “fourth” of armor, faithfully reproduced and thanks to the unusual cut it became surreal and for its own structure intended to a formal and curious review, this encourage us rather then just recognizing its nature of representation, to explore it for the unexpected sides revealed: the object only apparently known, when we go to discover its undercut, the internal complexion, as it happen for the conch shells or snail shell. This mazy way of considering the object not only for its external appearance but for the inner secret that may reveal It’s congenial to Donatella Baruzzi, not only in her frames and objects and coves that exactly remember the classic maze but also in that poetry of the “fragment”, for which some of her objects, broken, interrupted, cut, sectioned reveal unexpected sides to be discovered, thanks to the modification of their structure. There are also fragments in the most classic sense: in addition to the above mentioned armor, some robust lyres, some archaeological finds in which we recognize the remains of pediments, of classic decorations, returned to their state of details detached from a contest and for this reason even more mysterious and open to every interpretation. These works are generally modeled in a generous refractory y, that allows to create volume effects and large formal output, they have for their own rounded appearance and pleasantly plastic, a frank and cordial contact with the viewer. Their pink/white color, proper of some particular clays, adds an extra attraction to these blocks of ancient material that have all the ability to smile at the modern.